Percorsi multimediali
Montagna in movimento
Percorsi multimediali attraverso le Alpi meridionali
Introduzione
Ti invitiamo a intraprendere un percorso nello spazio e nel tempo. Lungo i corridoi e nei vari ambienti di questo forte vuoto di uomini e di armi cercheremo di raccontarti qualcosa della storia delle Alpi del sud che fin nel nome promettono il mare.
Chi lo dice che si tratti di una periferia?
Chi lo dice che questa montagna è isolata, immobile, marginale, chiusa?
Ti racconteremo invece di come sia stata e sia il luogo di un continuo e fecondo andirivieni, punto di partenza e di arrivo di popoli, idee, arti, mestieri, merci, innovazioni…
Oggi tutti noi siamo indotti a pensare che le metropoli o comunque le città siano il centro, tutto il resto la periferia. Ma non è sempre stato così; e per secoli le Alpi sono state al centro di scambi e, ancor più, di un progetto di civiltà che ha saputo adattare un ambiente difficile alle esigenze umane e sociali - e adattarvisi. La montagna ha avuto spesso nella storia un ruolo “centrale”, non in quanto frontiera ma in quanto cerniera, nodo di scambio.
Ti racconteremo qualcosa di questo mondo alpino nella convinzione che abbia nel suo DNA storico le capacità di darsi un nuovo futuro, che rimanga quello che è sempre stata: una montagna in movimento.
Alpi Marittime, semplicemente: un modo per dire di una terra di incontro e di incrocio tra mare e montagna, tra nord e sud, tra paesi del Mediterraneo e paesi transalpini, tra pianura padana (cioè percorsa dal fiume Po) e valli del Rodano (che sfocia appena di là delle Alpi, nel grande delta della Camargue). Da tempo, e in particolare modo a partire dall’Ottocento, noi siamo abituati a pensare le Alpi come un territorio di margine, di bordo. Non è sempre stato così.
Per molti secoli le Alpi sono state uno spazio posto al centro dell’Europa. Uno spazio strategico e delicatissimo, attraversato di continuo da eserciti, commercianti, pellegrini, viaggiatori.
E anche le genti che abitavano le Alpi non si sono mai considerate come una popolazione marginale, lontana e emarginata rispetto alle grandi città e al piano, e intrattenevano relazioni molto forti con i territori circostanti, elaborando modelli di vita e culturali specifici.
Oggi, per rimettere le Alpi al centro, è necessario fare uno sforzo di immaginazione: dimenticare i confini nazionali che così tanto peso hanno avuto nella storia e nelle tragedie del secolo scorso, e ripensare alla posizione e al ruolo strategico che la catena alpina ha sempre ricoperto nelle vicende europee. Un processo che in fondo corre in parallelo al percorso di unificazione europea.
Una nuova dimensione strategica delle Alpi da misurare non più rispetto alle opportunità di offesa e di difesa in caso di guerra, ma in termini di conservazione e valorizzazione di biodiversità ambientali e culturali: patrimonio naturale, habitat costruito storico, acqua e aria, lingua e tradizioni.
Da spazio di margine, le Alpi possono ritornare a essere “terra di confine”, nel senso di luogo dinamico di ricerca e di sperimentazione di pratiche e di modelli di vita per un futuro sostenibile.
Una frontiera mobile
Nel lungo corridoio che introduce al percorso espositivo sono collocati diversi cippi di confine che delimitavano il territorio. Suggestioni musicali occitane, voci, canti e suoni della montagna si spostano nello spazio accompagnando il passaggio degli spettatori. Al termine del corridoio su un leggio multimediale si srotolano e si animano antiche carte, ricreando un percorso storico-grafico degli spostamenti del confine alpino occidentale.
Memoria in autonomia
La maggior parte degli statuti dei comuni alpini, riconosciuti dai signori locali, risalgono al XIV e XV secolo. In una piccola stanza sono riprodotti lo statuto di Vinadio, appeso e srotolato sotto forma di pergamena e lo statuto di Limone Piemonte, redatto in formato libro.
Parlare “nosto modo”
Una grande nicchia sul muro di pietra diventa superficie di proiezione. Uno dopo l’altro emergono volti che pronunciano parole nella propria lingua, l’occitano, il provenzale, quel parlare “nosto modo” che diventa il punto di partenza e la prima chiave d’accesso per comprendere la cultura di questo territorio. Più di quaranta parole che dall’ir4taliano vengono ripetute nelle diverse parlate proprie di ogni valle.
Linee di cresta, cime rocciose, circhi morenici, ghiacciai e nevai, praterie d’alta quota, boschi, conoidi, torrenti, lingue di pianura di origine alluvionale nei fondovalle. E ancora borgate, mulattiere, canali, coltivi, terrazzamenti in pietra, prati da sfalcio, insediamenti temporanei per i pascoli, costruzioni religiose e militari, sentieri che attraversano i colli, città di fondovalle.
Il tutto dominato dalla silhouette triangolare della montagna simbolo di queste vallate: il Monviso.
Rispetto ai territori orizzontali e omogenei della pianura, dove le singole unità di paesaggio coprono vaste aree, la montagna offre una molteplicità di contesti e situazioni ambientali estremamente differenti e articolati. Per poter vivere in questo territorio l’uomo ha dovuto capirlo e interpretarlo, dando vita a una lenta ma costante azione di modificazione dell’ambiente che attraversa i secoli e i millenni. Un’opera di modificazione dell’ambiente compiuta non contro la natura, ma in sinergia con essa. L’esito è un paesaggio in cui natura e intervento antropico, più che essere in contrapposizione, vengono come a integrarsi. Scomparsi i generi di vita tradizionali, oggi facciamo difficoltà a riconoscere i segni e i significati di quel paesaggio costruito con enorme fatica, per stratificazioni successive, nel corso del tempo. Un paesaggio che è stato certo teatro di piccole o grandi tragedie, di guerre tra eserciti o religioni. Eppure quel paesaggio ci parla innanzitutto di un rapporto tra uomo e natura di cui noi, oggi, abbiamo assolutamente bisogno. Un paesaggio da rileggere e da comprendere nuovamente, per ripensare al nostro modo di relazionarci con l’ambiente che ci circonda.
Un paesaggio verticale
Un unico grande scenario naturale, formato da tre videoproiezioni, si sviluppa dal suolo alle pareti: la montagna, dal fondovalle alla vetta, si fa scoprire. Il fuoco, l’acqua, il vento e la terra accompagnano l’alternarsi delle stagioni, del giorno e della notte, ridisegnando continuamente il paesaggio. Un tappeto di foglie, funghi e terra umida diventa manto di neve e ghiaccio, prato verde, campo di segale. Salendo la scala, che porta al piano superiore, si attraversano le immagini delle borgate e dei pascoli fino ad arrivare di fronte alla cima del Monviso, che si mostra immutabile, inerte al susseguirsi delle stagioni. Sul leggio multimediale viene approfondito il tema delle diverse fasce altimetriche che caratterizzano il paesaggio.
Un paesaggio costruito
Un tavolo al centro di una stanza, le immagini digitali di diverse carte settecentesche vi sono appoggiate, un visitatore avvicina la mano, le carte si illuminano e si fanno trascinare, iniziano a scorrere attraverso le valli alla ricerca dei diversi insediamenti che segnano il territorio. Toccando l’immagine di uno di questi borghi, la parete di fronte si accende e le immagini in movimento ripercorrono un ideale avvicinamento, dal paesaggio vallivo complessivo fino ai dettagli delle singole architetture.
L'insediamento rurale
Sul leggio multimediale schemi e immagini video approfondiscono il rapporto tra la morfologia del territorio e la sua interpretazione costruttiva da parte delle comunità locali.
Città alpine e architetture romanico - gotiche
Un tavolo al centro della stanza. Le immagini di antiche illustrazioni che vi sono appoggiate raffigurano il patrimonio di architetture civili e religiose delle valli di Cuneo.
Appoggiando una mano su uno dei disegni, la filigrana si scolorisce, diventa quasi trasparente e lascia intravedere un’immagine video attuale dello stesso edificio. Continuando a “spolverare” i tratti a inchiostro lentamente svaniscono e si avvia il racconto. Dopo pochi minuti il foglio scivola via e libera una nuova illustrazione.
Le strade del sale - Il Buco di Viso
Passo dopo passo una “soggettiva” video ripercorre nella roccia i settantacinque metri del Buco di Viso fino ad arrivare in Francia. Di fronte, a terra, un’antica carta segna i percorsi delle vie del sale.
Adrech e ubac
Come trovandosi tra i due versanti di una valle, lo spettatore percorre la stanza, stretto tra due grandi videoproiezioni inclinate. Due panoramiche aeree sincronizzate risalgono la vallata. Le vibrazioni sonore, da un lato calde, dall’altro fredde, accompagnano il paesaggio.
Contrariamente a quanto suggeriscono alcuni stereotipi alquanto diffusi sull’immobilismo e sull’arretratezza delle Alpi, la montagna è sempre stata in movimento. La mobilità di vasto raggio costituisce infatti una componente essenziale della società alpina. Nel corso dei secoli la transumanza e le migrazioni periodiche hanno assicurato l’articolazione delle vallate con la pianura, con le metropoli, con regioni anche lontane. Non si trattava soltanto, né principalmente, di partenze forzate, dettate dal bisogno. Spesso chi abbandonava temporaneamente la propria vallata deteneva delle competenze, possedeva un mestiere e disponeva di reti di relazioni che la lunga tradizione di mobilità aveva permesso di consolidare. Generalmente non si partiva alla ventura, ma si disponeva al contrario di una bussola sociale e culturale che dirigeva gli spostamenti. Lo spazio di riferimento delle comunità alpine risultava così più vasto del loro territorio. Ogni villaggio aveva la sua diaspora, e robuste forze centripete che, anno dopo anno, ritmavano i ritorni stagionali.
Oltre ad «esportare» una quota importante della propria popolazione, la montagna è stata tutt’altro che impermeabile nei confronti delle incursioni provenienti dall’esterno. Le Alpi sono state costantemente attraversate: da militari, artisti, commercianti, pellegrini… Una folla variegata che ha lasciato tracce cospicue nel paesaggio e nella cultura delle valli. Negli ultimi secoli la montagna è stata «scoperta» ed appropriata da un’élite urbana che l’ha percorsa e reinventata, alla ricerca di acque rigeneratrici, prede selvagge e cime inesplorate. Le vallate si trasformano così in un luogo di svago, dov’è possibile cercare il contatto con un mondo primigenio, naturale, intatto. Sono i prodromi dell’attuale turismo di massa.
Dal monte al piano
Tre grandi ceste di vimini appoggiate al suolo definiscono lo spazio. Le mani dello spettatore scoprono la materia della cesta e toccandola la rendono contenitore di un racconto video. Su una garza leggera all’interno della cesta emergono le immagini: mani di anciué, cavié, bottai, arrotini, raccoglitrici di viole; riempiono e svuotano la corba, di volta in volta, di acciughe, capelli, paglia, legno, erbe medicinali, arnesi da lavoro. Sul leggio, come sfogliando un album fotografico virtuale, al tocco dello spettatore le immagini immobili di volti anziani si attivano e raccontano le loro storie di lavoratori ambulanti e stagionali.
Transumanza
Un tappeto di lana grezza è al centro della stanza e fa da supporto alle immagini video.
A soffitto è sospesa una nuvola di collari e campanacci. Se lo spettatore ne fa vibrare uno l’eco dei richiami dei pastori riverbera nello spazio; un gregge di pecore si mette in moto, come in un ideale sentiero di transumanza, lentamente attraversa l’intero tappeto. Sul leggio-album le parole e i volti di anziani pastori si alternano per raccontare di questo antico mestiere.
La comunità ritrovata: il ritorno
Tra abiti e maschere della ritualità alpina rimane sospeso un grande schermo di nastri, simbolo della baio di Sampeyre e di altre feste. Urla, musica, campanelli e tamburi danno il ritmo all’incedere del corteo. A un tratto tutto si ferma, le immagini ravvicinate di nastri, coccarde, dettagli di costumi, volti, cappelli ricompongono i ritratti dei personaggi delle baie: serazine, tambourin, sapeur, abà… il corteo riprende il suo cammino… Sul leggio, studiosi e testimoni di diverse borgate raccontano della tradizione delle feste religiose, delle baie, e di come si svolgevano i matrimoni.
Passaggi d’arte
Un tavolo impolverato sta al centro della stanza. Sfiorandone la superficie la polvere si solleva, sulla parete l’immagine di una candela rischiara tutto attorno, gradualmente affiora un affresco, la luce muovendosi sopra esplora i dettagli del dipinto. Sul tavolo immagini e informazioni sui pittori gotici completano il racconto. Sul leggio, le immagini dei dipinti lasciati sulle case e sui piloni votivi ricompongono la storia e gli spostamenti dei pittori itineranti: Boneto, Borgna e Gauteri.
Le strade della fede
Davanti a una parete costellata di quadretti votivi è sospesa una cornice; in trasparenza i volti dei pellegrini vengono avanti in fila; preghiere, racconti di grazie ricevute, inni religiosi si muovono nello spazio accompagnando l’infinita processione. Sul leggio, seguendo il cammino di un pellegrino, si riscoprono i numerosi santuari che segnano il territorio.
La caccia e le terme
Su un piano sono appoggiate diverse cartoline e fotografie d’epoca di Vittorio Emanuele. Toccando una delle immagini, questa si ingrandisce per raccontare brevi aneddoti e vicende del re, della riserva di caccia reale e della sua riconversione in parco naturale. Un vecchio cannocchiale da caccia è puntato verso il paesaggio esterno: un mirino comincia a perlustrare la zona alla ricerca di una preda; appena riesce a metterla a fuoco, l’animale scappa, confondendosi tra gli alberi.
Sul leggio viene approfondito il tema delle acque e degli stabilimenti termali nelle diversi valli.
L'alpinismo e la nascita del Club Alpino Italiano
Un unico lungo paesaggio alpino si sviluppa attraverso otto piccoli schermi sospesi. Le cine immobili e silenziose, stimolate dall’avvicinarsi dello spettatore iniziano a raccontarsi. La scalata del Monviso del 1863, la nascita del Club Alpino Italiano, le vicende del conte De Cessole nelle Alpi Marittime diventano le tappe fondamentali di questa narrazione. Sul leggio, attraverso gli scritti di Quintino Sella e le foto dei primi alpinisti, viene approfondito il tema della nascita del C.A.I.
Il contrabbando
Diversi zaini vuoti, un tempo usati per trasportare merce di contrabbando, sono illuminati al centro della stanza. Quando ci si avvicina la luce si spegne, sulla parete si avvia la proiezione. Un cammino notturno attraverso le Alpi e i suoi confini, il ritmo dei passi e dell’affanno si intreccia ai racconti di vecchi contrabbandieri.
La crisi e poi la fine della civiltà alpina tradizionale è un processo che si svolge lentamente e per fasi successive. Ma precipita all’inizio degli anni sessanta, quando l’agricoltura in montagna viene completamente abbandonata, anche a seguito di migrazioni che rendono drammatico lo spopolamento di interi valloni, di centinaia di borgate, in tutte le Alpi meridionali, più che nel resto dell’arco alpino. L’abbandono delle coltivazioni ha effetti dirompenti sul piano sociale, economico, ambientale. La montagna perde con l’agricoltura coloro che ne avevano per secoli assicurata la manutenzione: gli effetti sono devastanti anche in pianura (con le alluvioni sempre più frequenti e disastrose). Ma soprattutto finisce una civiltà che aveva saputo creare un equilibrio straordinario tra natura e bisogni umani, tra sfruttamento delle risorse e attenzione a non esaurirle, tra ambiente e paesaggio costruito. Intanto, dietro il paravento di una malintesa “modernità”, questo equilibrio va in frantumi, non c’è più niente e nessuno a difendere il paesaggio alpino, che viene saccheggiato, stravolto, talvolta cancellato dal turismo di massa, da insediamenti puramente speculativi, dall’abbandono dei montanari al loro destino di nuovi operai emigrati in pianura definitivamente.
Il mondo dei vinti non è l’invenzione di uno scrittore: è la fotografia della montagna cuneese dalla metà degli anni sessanta a… (è difficile dire quando l’agonia cominci a regredire e la montagna morente dia i primi segni di ripresa).
Le guerre del Novecento
Lungo la scalinata dei cannoni scorre un interminabile nastro, sulla cui superficie sono incisi i nomi dei caduti delle valli di Cuneo nella prima e nella seconda guerra mondiale. I racconti, estratti dalle interviste realizzate da Nuto Revelli, diventano l’unica presenza sonora.
Ombre
Nel lunghissimo corridoio è sospesa una grande quantità di oggetti. Simboli materiali dell’antica civiltà contadina delle Alpi. L’illuminazione, quasi in controluce, ne fa emergere la silhouette e crea un intreccio di ombre sul pavimento e sulle pareti. In alcuni punti dello spazio queste ombre, come se fossero vive, si attivano al passaggio dello spettatore… la ruota di un carretto inizia a girare, una sedia si ribalta, una gerla si svuota sul pavimento… Racconti, antiche filastrocche e leggende creano un sottofondo sonoro che, discreto, si sposta nello spazio.
Un'emigrazione senza ritorno
Sei monitor scendono dall’alto sulle pareti e incorniciano altrettanti ritratti. Uno a uno, i volti anziani e silenziosi prendono vita e si raccontano. Le parole diventano scatti della memoria che descrivono un’emigrazione senza ritorno; i racconti della vita in fabbrica so mescolano al ricordo della vita in borgata prima della partenza. Nel leggio, le cifre dello spopolamento accompagnano le immagini dell’abbandono e dell’isolamento.
L'infrastrutturazione del territorio
Tre lastre di vetro trasparenti attraversano lo spazio della sala. A terra, in corrispondenza di ogni lastra, scorrono le immagini dei binari di un treno in movimento, una strada percorsa, lo scorrere dell’acqua in una condotta forzata. Avvicinandosi a una delle lastre, questa diventa opaca ed emergono immagini e storie di progetti e di infrastrutture che hanno modificato il territorio: gli impianti idroelettrici della valle gesso, la ferrovia Cuneo-Nizza, il tunnel di Tenda.
Sul leggio vengono analizzati i diversi impianti idroelettrici presenti sul territorio.
Il turismo di massa
Uno schermo sospeso incornicia l’immagine di un paesaggio montano all’alba. Davanti uno schermo trasparente e al centro una lunga pedana di legno. Il visitatore si avvicina, i suoi passi risuonano sulla pedana e tutt’attorno nello spazio: questo rumore, quasi come se disturbasse la quiete della montagna, scatena la seconda proiezione, un’orda di turisti entra in campo, attraversa le strade, si arrampica, si sdraia a prendere il sole. Il visitatore si ferma, di colpo tutto torna alla stasi inziale, si prepara un altro scenario. Sul leggio le immagini degli antichi borghi alpini abbondonati scorrono insieme a quelle dei centri turistici in disuso o disabitati durante la bassa stagione.
Oggi la miriade di piccole stazioni sciistiche cuneesi si presenta debole di fronte alla sfida di un mercato del turismo invernale sempre più esigente e globalizzato, nonché minacciato dalla carenza di neve. La dimensione limitata dei domaines skiables, gli impianti spesso obsoleti, la cornice ambientale non sempre irresistibile, la mancanza di attività di apreés ski rendono il futuro di molte di queste località assai incerto, e comunque destinato a un mercato di “nicchia”. Solo Limone Piemonte, con il suo parco piste, un centro storico recentemente in via di riqualificazione e ben 25.000 posti letto stimati – di cui la quasi totalità in seconde case – sembra capace di reggere il confronto con le agguerrite stazioni francesi e valsusine.
Fortunatamente con la crisi del modello turistico basato sullo sci di mass si sono imposte nuove pratiche di turismo soft, verde, culturale. Forme diversificate di villeggiatura estiva e invernale, che puntano a un futuro sostenibile e a un diverso modello di sviluppo per le vallate.
Paradossalmente le valli che nel corso del Novecento sono state più soggette a fenomeni di spopolamento e abbandono (Stura, Maira, Grana), cioè quelle stesse valli che furono oggetto dell’accorata denuncia di Nuto Revelli nel Mondo dei vinti, possono affrontare con più risorse culturali e ambientali la riconversione verso il turismo “dolce” ed ecosostenibile, mentre nelle alte valli conquistate dall’industria dello sci (spesso con investimenti fallimentari come ad Argentera, a Montoso o a Sampeyre) il turismo ricopre con una patina di finto benessere i paesi e gli abitanti, rischiando di sottrarre loro una parte della ricchezza più preziosa: l’identità alpina. Se le Alpi diventano surrogato della pianura hanno già perso il loro ruolo nel cuore dell’Europa.
Vinadio Virtual Reality
Vinadio Virtual Reality rientra nell’ambito del progetto Altre Visioni, Alte Storie vincitore, nel 2017, del “Polo del ‘900: bando per il Piemonte” promosso dalla Compagnia di San Paolo.
È sulla proposta di narrare la Storia in un territorio particolare, come può essere quello di montagna, attraverso l’uso di linguaggi multimediali innovativi che nasce l’allestimento permanente Vinadio Virtual Reality.
Volo libero sul Forte
L’esperienza unica ed emozionate di un volo libero sopra e attorno il Forte di Vinadio, con la possibilità di ammirare l’intera fortezza da un nuovo punto di vista, anche grazie alle riprese con il drone.
Un volo alla scoperta di particolari e aneddoti sugli spazi architettonici che lo compongono, molto spesso riadattati e particolarmente frequentati, sia dalla popolazione, sia dai soldati durante il periodo della Grande Guerra.
Nel volo sarai accompagnato da una serie di racconti, preziose testimonianze di vinadiesi che hanno vissuto il forte come luogo di rifugio, di aggregazione e talvolta anche di festa.
Giallo Forte
Una spy story è alla base dell’esperienza di realtà virtuale Giallo forte.
Un vero e proprio intrigo internazionale che conduce il visitatore a scoprire il forte con la guida della voce narrante dell’ufficiale “incriminato”. Ad ispirare Giallo forte il ritrovamento, negli archivi militari presso il Château de Vincennes a Parigi, di alcune fotografie scattate a fine Ottocento da un ufficiale di presidio al forte di Vinadio.
Ed è proprio da qui che si dipana il giallo.
Perché queste foto sono finite in mano ai francesi?
Vieni a scoprirlo! La postazione, promossa dall’Unione Montana Valle Stura, è stata realizzata con il contributo della Fondazione CRT (bando Esponente 2017).